La pandemia ha introdotto nuove sfide, ormai questo è un dato di fatto. Come sta cambiando il comportamento del consumatore finale alla luce di ciò? A dare una risposta è Stefano Luvisi, senior manager Accenture Interactive, intervenuto al convegno promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano e da Netcomm, dal titolo "e-commerce b2c: la chiave per ripartire".
A detta del manager in prima analisi sono cambiati il “come e il dove acquistiamo, la pandemia ha accelerato una serie di cambiamenti già presenti. In seconda battuta sta generando degli imperativi diversi a seconda del settore merceologico. C’è stata una esplosione di ordini online – osserva il manager -. In particolare sul fronte gastronomico. Il beauty ed il fashion hanno avuto un crollo delle vendite fisiche e la necessità di restare a contatto con la clientela”. Necessità che, a dire il vero, ha avuto ogni settore merceologico.
Come si sta evolvendo, quindi, la nuova tipologia di consumatore? Il profilo tratteggiato dal manager disegna un consumatore “sempre più maturo, che acquista in modo più consapevole, non è focalizzato in modo puro sul prodotto, ma l’attenzione è verso qualità e sostenibilità. È più attento al prezzo e al servizio che riceve. Non è più una tendenza, ma un dato di fatto che difficilmente sarà cambiato”. Siamo di fronte ad un consumatore che è “attento alla brand identity, di cui riconosce i valori. Si fidelizza e diventa un compratore ricorrente”.
Luvisi osserva che l’esplosione di acquisti online ha visto da un lato “dei nuovi consumatori” e dall’altro “quelli a bassa frequenza. Si tratta di consumatori diversi per anagrafica e abitudini. Il che implica nuove sfide e nuove opportunità”.
La situazione attuale vede anche un “incremento delle aspettative verso la omnicanalità in un’unica esperienza di acquisto che sia trasparente su tutti i canali e con gli stessi livelli di servizio”.
Da un lato si ha un consumatore dinamico e dall’altro la situazione di crisi ha portato alla chiusura di diversi negozi fisici, che si devono re-immaginare. Da H&M che ha esitato molto a passare al digitale, ma ha poi accelerato sull'e-commerce, a Zara, che ha deciso di chiudere diversi punti vendita fisici a Ikea, che ha visto una crescita del'online molto forte. Sullo sfondo le dot.com che non hanno subito una battuta d'arresto, ma hanno, viceversa, potenziato la capacità operativa. Intanto la logistica e i pagamenti si sono innovati attraverso la realtà aumentata e le consegne sono diventate contactless. Cambiamenti che in alcuni casi sono già visibili. “Ci sono negozi dove far vivere una esperienza unica, dove si può provare il prodotto, legato ad un concetto di experience appunto”. L’esempio che il manager fa è quello degli store della Nike che danno l’idea di come lo store fisico diventi “un experience hub”. In pratica i negozi diventano “sempre più phygital, in un unicum tra digitale e fisico – spiega il manager -, in cui si può fare gli acquisti dall’app o da altri canali”. Il cliente “sta diventando un abilitatore di nuovi business model”. Negli store ci sono anche gli assistenti di negozio che “possono fare video conferenze, mostrando i prodotti”.
La sfida
La sfida delle aziende? Secondo il manager ci sono tre imperativi. Il primo è “conoscere i propri clienti, mai pensare di conoscerli a priori”. Il secondo imperativo è investire sull’omnicanalità, ma anche “sulle capacità necessarie alle aziende per supportarle”. Infine, il terzo punto messo in luce è “tutto ciò che riguarda l’organizzazione per supportare il processo di omnicanalità, che è da vedere come aspetto strategico che deve abilitare al cambiamento”.
Le diversità tra Paesi
È interessante osservare come vi siano delle differenze tra le diverse aree del mondo. Interpellato in merito, il manager fa presente per esempio che “Stati Uniti ed Europa sono molto simili nel reinventare lo store. Negli Usa c’è una maggiore tendenza a cambiare il ruolo dello store fisico. In Cina e nel Far East questa necessità è meno sentita in quanto il livello di maturità sull’online è più alto. Per esempio Alibaba sta pensando a iniziative fisiche più orientate a un discorso di experience hub e meno di vendita”.
Il manager non affronta il tema delle agenzie di viaggi, ma le osservazioni fatte possono in un certo qual modo essere trasferite anche al mondo del travel. Sicuramente i tempi odierni impongono un ripensamento degli spazi di agenzia e dei punti vendita. Sarà da capire se i tempi sono maturi per cavalcare l’onda che tende ad abbinare il fisico con il virtuale e se alcune modalità possono essere adottate anche dal mondo del travel.
Stefania Vicini