“L’Italia vince se aumenta i prezzi. E se va a scuola”

A voler dar retta a Linkedin, Edmondo Boscoscuro è il founder e ceo di Meet and Greet Italy, tour operator incoming nato cinque anni fa. Ma internet, si sa, non la racconta mai tutta. Perché si dà il caso che questo milanese trapiantato a Roma respiri turismo fin dalla nascita: inevitabile, quando tuo padre è il fondatore di Viaggidea e tua madre un’agente di viaggi.

Col mondo inciso nel destino – oltre che nel nome di battesimo – Boscoscuro ha l’attitudine di chi ama usare la testa ma senza dimenticare il cuore, forse in omaggio all’altro Edmondo, quello reso celebre dalla letteratura d’appendice. Fatto sta che non riesce difficile immaginarlo bambino che scarabocchia i cataloghi long haul anziché gli album da colorare, mentre cresce a latte e allotment. E oggi che, dopo una carriera tra treni e aerei, lavora con i mercati extra-europei per far conoscere a yankee e australiani il Belpaese, Boscoscuro dimostra di avere le idee chiare sul futuro prossimo del nostro incoming, e anche qualche dritta da offrire. Perfino al nuovo Governo: e no, la sua priorità non è un Ministero ad hoc per il turismo.

Boscoscuro, che 2021 sarà per il turismo italiano?
Una premessa: mi baso sul buonsenso, sapendo che in questa situazione tutto può cambiare in poco tempo. Il mercato domestico e il mare Italia faranno una stagione più che dignitosa, anche perché i corridoi esteri saranno ancora in gran parte chiusi e la pandemia sembra essere via via più sotto controllo. Sono ottimista, in questo senso. Sui flussi dall’estero, il mio core business, vedo invece la ripresa ancora piuttosto di là da venire: i miei clienti oltreoceano – in Nord America, Australia, Asia – cominciano a essere coinvolti nella programmazione 2021, ma l’attenzione è più rivolta al 2022. D’altronde, i voli intercontinentali non si improvvisano: vedremo le prime avanguardie a fine estate e si
potrà fare tutt’al più un buon settembre-ottobre, poi si passerà direttamente al 2022. I mercati di prossimità naturalmente riprenderanno prima, ma sono anche quelli più disintermediati.

Che Paese emergente si sta muovendo meglio per diventare una destinazione top globale?
Vedo destinazioni che spingono molto – Dubai, Arabia Saudita – per costruire un modello di offerta turistica da zero: ma, soprattutto per la seconda, ci vorranno anni. L’Italia fa parte delle intramontabili, gioca un altro campionato. Ma non vedo nuove destinazioni che spiccano: preferisco sperare che torni l’Egitto, che manca a tutti.

Possiamo tornare primi al mondo?
Dobbiamo, e se non succede è solo colpa nostra. Il problema sta – paradossalmente – nella nostra grande ricchezza, che è difficile anche soltanto da comunicare. Parcellizzare troppo la promozione non va bene, dobbiamo essere più pragmatici e avere il coraggio di ammettere che per lo straniero medio l’Italia resta la gondola, la Torre di Pisa, il Colosseo. Bisogna saper scontentare qualcuno, offrire un’immagine organica del Paese senza disperdere le energie in mille rivoli. Sistemati alberghi e infrastrutture, possiamo tornare primi al mondo.

E come?
Non è solo questione di volumi, ma di qualità. Se come travel industry avessimo il coraggio di aumentare tutti i prezzi del trenta per cento, sono pronto a scommettere che arriverebbe lo stesso numero di turisti. Di Colosseo ce n’è solo uno, e invece noi – strangolati anche dai player distributivi globali – riduciamo le marginalità senza alcun senso. Dobbiamo vendere bene quello che abbiamo, perché è oggettivo che gran parte della distribuzione è in mano a stranieri, bravissimi nel loro lavoro, naturalmente: ma noi stringiamo i nostri margini e ci facciamo la guerra tra di noi. È un controsenso.

Cos’è cambiato nel turismo dai tempi di suo padre?
I protagonisti di quell’era, Colombo compreso, che ci ha appena lasciato, hanno creato un mondo in un momento magico. Le grosse differenze sono due: il successo dei tour operator di allora era basato sul controllo dell’informazione, che ora abbiamo perso. Se volevi andare ai Caraibi, a St. Barth, c’era solo una persona a cui dovevi chiedere, ed era Boscoscuro. E così per gli altri. Oggi l’informazione diffusa ha fatto perdere questo vantaggio, al quale si aggiunge la vendita diretta, che è invece una normale evoluzione. Seconda differenza: c’erano tanti mercati vergini, allora. A 12 anni sono arrivato a Santo Domingo e c’era un unico albergo, lungo la spiaggia: era come andare sulla luna. Ora andarci è una banalità, e infatti il top è il viaggio esperienziale, tutti a scalare l’Himalaya.

E quali sono invece gli elementi di continuità?
L’elemento di continuità sta nel modello di business: più sviluppo il mio tour operator, e più vedo parallelismi con ciò che faceva mio padre. È cambiato il modo in cui si vende, che va sempre adeguato, ed ora abbiamo il mercato globale, che loro non avevano. Ma il tema della competenza è centrale: non possiamo pensare di fare come i tassisti che si oppongono a Uber, che tanto prima o poi arriva e cambia le regole. Ma nessun sistema informatico può battere un agente di viaggi, naturalmente a parità di prezzo.

Per il suo nuovo prodotto turistico ha puntato sulla rete ferroviaria italiana, dopo aver lavorato in Ntv. Che idea si è fatto dei trasporti su ferro in Italia?
Ho vissuto da dentro la rottura del monopolio sull’alta velocità: è stato un fatto storico, che ha portato benefici a tutti. È un’infrastruttura ad hoc e che va estesa, naturalmente sul medio-lungo periodo. Ed è una realtà unica al mondo. Il mondo dei treni regionali è un’altra cosa, con contratti di servizio che ne determinano gli standard. Le Fs da alcuni anni ci hanno messo molta attenzione, e sono convinto che nei prossimi anni li vedremo cambiare in meglio: entreranno in funzione tutti i nuovi treni e gli investimenti per estendere la rete. Il pendolarismo ha naturalmente grossi problemi, ma fuori dai picchi si viaggia benissimo. In un triennio inizieremo a vedere gli effetti degli investimenti. Io i treni regionali li uso spesso, e ci ho puntato per il mio prodotto turistico senza esitazioni di sorta.

Capitolo associazioni di settore. Come ne valuta l’operato?
Non frequento troppo le associazioni, ma devo dire che le ho viste muoversi molto bene nel corso di quest’anno difficile: si sono battute per difendere il settore e i suoi interessi, ottenendo risultati molto validi, anche in termini di ristori. Sono grato a tutte loro, da Astoi a Fto, anche per il servizio di informazione, molto dinamico, che ha aiutato a fare chiarezza. Nel momento del bisogno le associazioni ci sono state, insomma: sarà altrettanto importante vedere che ruolo avranno nel prossimo futuro.

Al nuovo Governo, che ha esordito con un Ministero ad hoc per il settore, che priorità indicherebbe?
Abbiamo bisogno di formazione di altissimo livello, a tutti i livelli. Più che di un Ministero, il turismo italiano ha bisogno di un’accademia di alta formazione, dove venga insegnata agli operatori la tecnologia applicata al turismo, come distribuire il prodotto, i trend… La promozione serve, ma serve ancor più formare chi lavora nel turismo ed è spesso legato a schemi mentali vecchi: alzare il livello è anche questo, in tutti i ruoli. Questa è la qualità. Rispetto ad altri Paesi vedo uno skill gap impressionante, che aumenterà sempre di più perché sarà più diretto il rapporto con il cliente. Io vorrei vedere docenti arrivare dall’estero, non la nuova campagna di promozione sui laghi o sulle spiagge. O meglio,
anche questo, ma senza continuare a disperdere il messaggio. Non deve succedere che i distributori online controllino i nostri prodotti. E se crei un Ministero e poi c’è – poniamo il caso – gente che non sa parlare inglese, o non è mai stata all’estero, non andiamo da nessuna parte.

Quando torneranno gli americani e i cinesi?
Il boom ci sarà il prossimo anno. Andrebbe bene anche se fossero meno, purché pagassero di più. Anche perché i vettori non torneranno all’offerta pre-Covid se non in tre anni. La traversata nel deserto è ancora lunga, insomma, ma si vede – lì in fondo – l’oasi. La borraccia è ancora fondamentale: speriamo che il Governo non ci faccia mancare l’acqua.

Gianluca Miserendino

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