Soft skill tutti ne parlano, ma perché? Sembra siano la nuova moda, come mai? Dell’importanza di questo tipo di competenze “si sa ormai da qualche tempo, soprattutto in un settore ad alta intensità di relazioni come il turismo”, dice Federica Montaguti, senior researcher Ciset, che però concorda sul fatto che ora se ne senta parlare molto di più. A suo dire potrebbe essere “per effetto dell’evoluzione delle tecnologie, della domanda e dei modelli di business delle imprese, non solo turistiche”. In ambito turistico, la ricercatrice fa presente che “la tecnologia permette di automatizzare alcune attività e processi, per cui le imprese hanno meno necessità di figure che sovrintendano a queste attività. Contemporaneamente, la competitività non passa più dall’efficienza, ma dalla capacità di innovare, rinnovarsi e adattarsi ad un ambiente che evolve rapidamente”.
C’è da considerare anche che, per conquistare e fidelizzare i nuovi turisti, “non è più tanto importante fare tutto bene, ma creare effetti sorpresa, esperienze e relazioni”. E’ fondamentale che le risorse umane possiedano “la capacità di lavorare in team, siano proattivi, riescano a creare relazioni, a risolvere problemi, piuttosto che essere perfetti nell’eseguire un compito specifico”.
La pandemia ha portato una maggiore attenzione sul tema? Secondo Montaguti non particolarmente, “sono evoluzioni in atto prima e che proseguiranno poi. Forse ha evidenziato alcuni elementi di questo processo”.
Per Paola Frigerio, leisure, marketing & network director Frigerio Viaggi, invece, tra le tante accelerazioni che ha portato la pandemia, “un argomento che sta suscitando grande interesse sono proprio le soft skill. In realtà sono sempre state tra noi, ma a differenza delle materie misurabili con attestati, diplomi, lauree, master, sfuggivano ad una misurazione tangibile benché rientrassero nelle aree di investigazione dei selezionatori Hr sul perimetro dei nuovi candidati, così come delle risorse già inhouse”. Sono quelle competenze che appartengono “a quella sfera personale e di predisposizione caratteriale, di cui ognuno è dotato e che possono essere migliorate, apprese e ampliate”. Le aree che le comprendono sono: apprendimento, collaborazione, comunicazione, interculturalità, pensiero critico, problem solving e leadership.
Le più ricercate
Capacità di lavorare in team e gestione dello stress, sono alcune competenze trasversali molto ricercate in ambito turistico, come rivelano indagini condotte dal Ciset e da diversi studi internazionali. C’è però una “capacità nuova” emersa, “è la flessibilità cognitiva – spiega Montaguti -, la capacità di imparare e adattarsi a nuove situazioni e compiti, continuando ad aggiornarsi”. Le imprese, dal canto loro, sono sollecitate ad evolversi continuamente e quindi hanno bisogno di risorse in grado di cambiare compito, scambiarsi i ruoli, imparare un nuovo mestiere. E’ una cosa tutt’altro che facile.
La formazione cambierà
In tutto ciò non stupisce il fatto che la formazione in ambito turistico dovrà cambiare, ma come? Dovrà fondarsi “meno su profili professionali basati sull’esecuzione di mansioni e sempre di più sullo sviluppo di capacità di apprendimento e formazione continua”, spiega Montaguti.
All’interno dell’industria dei viaggi vi sono diversi livelli di complessità e responsabilità per cui la formazione non può essere considerata un unicum, si dovrà lavorare sull’autonomia anche dei profili intermedi, sulla comunicazione e capacità di interagire con i sistemi digitali. Tutto ciò richiederà alla formazione “un cambio di prospettiva non da poco, perché significa passare da una preponderanza di apprendimento passivo ad uno attivo, dal focus sul contenuto al focus sul processo di apprendimento”.
L’errore da non fare
Negli ultimi anni più o meno tutti hanno commesso un errore e cioè aver fatto formazione “per quanto riguarda il solo miglioramento o ampliamento delle competenze tecniche – dice Frigerio -, dimenticando di nutrire anche il perimetro delle soft skill, dando quasi per scontato che queste caratteristiche personali non fossero direttamente collegate alla buona riuscita di un lavoro oppure dando per scontato che una buona predisposizione alla leadership fosse una dote naturale che non andasse coltivata con una formazione adeguata”.
Ecco che occorre unire il perimetro delle soft skill allo smart working, suggerisce la manager. “Ormai si è capita la fatica dello smart worker, che tra il connesso ed il disconnesso deve continuare ad esistere, ma in quanti hanno ben chiaro quali sono i criteri corretti dello smart working e il giusto equilibrio dell’utilizzo del tempo?”.
E’ un percorso impegnativo, che il network sta scrivendo con docenti, tra cui la dott.ssa Brioschi, consulente, formatrice ed esperta della gestione dei conflitti, e la dott.ssa Lucilla Crosta, ceo e founder di Edulai, che, “con la sua app, misura in maniera scientifica il livello di soft skill e le competenze relative allo smart working”. Al momento è terminato il primo corso di soft skill sulle adv del network, che ha utilizzato l’app di Edulai per la valutazione scientifica del livello delle competenze e i margini di miglioramento. Il responso è positivo, “gli agenti sono contenti del tempo investito e dei cambiamenti che si stanno iniziando a vedere”.
Le professioni del futuro
In questo scenario di cambiamenti epocali quali saranno le professioni del futuro? A detta della ricercatrice del Ciset, Federica Montaguti, da un lato ci sono “le professioni che hanno a che fare con digitale, dati e intelligenze artificiali”. A tal proposito invita a pensare a come si stia evolvendo il revenue management, “sempre meno legato allo storico delle prenotazioni e più alla capacità di inglobare dati da fonti diverse in tempo reale”.
Dall’altro “ci sono le professioni legate alla creazione di relazioni e esperienze per i turisti”, come guest experience manager, chi è in grado di porsi come mediatore culturale tra turisti e comunità, consulenti per i viaggiatori o per le altre imprese che sono in grado di comprendere non solo esigenze tecniche, ma anche valori di riferimento di comunità di turisti.
Stefania Vicini