Restituzione acconto: art. 41 da riformare

A scatenare l’inferno è stato l’art. 41, comma 4 del Codice del Turismo. Perché? Per aver imposto l’obbligo di restituzione dell’acconto in caso di risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta. Durante la pandemia, per evitare il tracollo del settore del turismo organizzato, il D.L. n.9 del 2 marzo 2020, ha introdotto il voucher “come forma alternativa al rimborso imposto dall’art. 41 comma 4 del Codice del Turismo” e così, fa presente l’avvocato Carmine Criscione, consulente legale del network Welcome Travel e di numerosi t.o. organizzatori di vacanze-studio, “gli agenti di viaggi che non potevano più vendere viaggi o organizzare riprotezioni, per circa quattordici mesi sono stati costretti a familiarizzare con tale strumento tollerato ambiguamente dalla Commissione Ue e oggetto di invettive da parte dei consumatori e di vere e proprie crociate da parte di alcune associazioni di categoria”.

La riforma auspicata

Il dato numerico su cui pone l’attenzione l’avvocato, è che “sono stati emessi voucher per centinaia di milioni di euro e che, dopo una prima proroga dell’efficacia del voucher da 12 a 18 mesi, con la legge 69 del 21 maggio 2021, la durata è passata a 24 mesi“. Certamente il voucher “è stato un farmaco essenziale, la cui somministrazione si è resa necessaria per evitare che, proprio per l’obbligo di restituzione dell’acconto, l’intero comparto turismo precipitasse in una crisi irreversibile”, osserva l’avvocato, che, nel corso della pandemia, ha dovuto prestare la propria consulenza legale per assistere i professionisti del travel subissati da contestazioni sui voucher. In questo modo ha potuto maturare sue riflessioni “sulla validità di questo istituto giuridico che hanno trovato la loro sintesi in un capitolo del 24° Rapporto sul Turismo Italiano pubblicato dal Cnr e dall’Iriss (Istituto di Ricerca su Innovazione e Servizi per lo Sviluppo) a cura dei professori Alfonso Morvillo ed Emilio Becheri”.

Come spiega l’avvocato, nello studio si auspica “una riforma dell’art.41 comma 4 del Codice del Turismo e della sua corrispondente norma comunitaria, l’art.12 della Direttiva Pacchetti 2015/2302 per consentire un maggiore equilibrio fra le parti contraenti del pacchetto turistico”. La norma tutela il consumatore, ma c’è “uno sbilanciamento contro il professionista, il quale è chiamato a restituire l’acconto, nonostante l’assoluta mancanza di liquidità. L’organizzatore non ha una tutela concreta ed in mancanza del voucher deve restituire al viaggiatore un acconto che ha già investito per la prenotazione dei servizi turistici dei propri fornitori, combinati in un pacchetto che, per la forza maggiore, non potrà più portare in esecuzione”. Il t.o. ha pertanto un problema economico serio, in quanto c’è da tener presente che l’acconto “non viene investito in bond, ma viene utilizzato per bloccare le camere d’albergo, le guide, i voli”. C’è poi da considerare che a loro volta anche i t.o. dovrebbero avere indietro il cash dai fornitori, “invece non hanno certezza in merito perché i fornitori a loro volta hanno il problema della liquidità”.

L’Ectaa lo aveva detto…

Dal canto loro gli operatori del settore hanno già avvertito la necessità di una riforma. Il presidente dell’Ectaa, nell’aprile 2020, ha previsto gli effetti della norma comunitaria che obbligava alla restituzione del contante, facendo presente la necessità di una riforma “in quanto tende a sbilanciare il rapporto tra professionista e consumatore”. La norma è stata concepita sulla base di un retaggio che vede il consumatore come parte debole del rapporto contrattuale. Però, avverte l’avvocato Criscione, si deve anche valutare che “la troppa tutela può portare al fallimento del professionista”. L’avvocato, fa, infatti, notare che, “nonostante l’esistenza del voucher, a causa dell’attuale sistema, circa mille adv hanno chiuso e qualche t.o. è stato posto in liquidazione”. C’è da dire anche che gli operatori pagano i contratti un anno prima e “il sistema dei contratti funzionalmente collegati vige, grazie all’art. 41 comma 6 del Codice del Turismo, in Italia, ma non nella Ue ed ancora meno nei paesi Extra Ue”. Quindi in tali casi il cash non viene restituito.

La necessaria modifica della norma

Quindi come deve essere modificata la norma? Intanto, la norma fa parte della Direttiva pacchetti 2015, che ha avuto gestazione anni prima. Cosa vuol dire ? Che non è al passo con l’evoluzione attuale del sistema. Pertanto sarebbe il caso di rendersi conto che “sono mutate le esigenze – fa presente Criscione -, però la Ue non mette mano ad una riforma della norma. Forse non tutti sanno che la norma finale della Direttiva pacchetti prevede che la Commissione europea riferisca sullo stato dell’arte delle cose, peccato però che non l’abbia ancora fatto su questo tema”. Fra l’altro, aggiunge l’avvocato “tale riforma sarebbe in linea anche con il recente indirizzo giurisprudenziale della Corte di Cassazione che nella sentenza n. 14257 del 8 luglio 2020 ha sottolineato la tendenza ad individuare una misura di ragionevolezza cui devono attenersi le misure consumeristiche, onde non sbilanciare la tutela del consumatore, favorendone gli abusi”.

Il presagio del caso Thomas Cook

Caso crack Thomas Cook. Il t.o. britannico, prima della Brexit, si atteneva alle norme della direttiva pacchetti, con la polizza insolvenza fallimento per i soli pacchetti, ma non per i singoli servizi, come il biglietto aereo o l’acquisto della camera d’albergo. Dopo il fallimento non è riuscito a rimborsare tutti gli acconti per l’acquisto dei biglietti aerei di vettori di sua proprietà, pertanto il Parlamento europeo studiò una riforma perché fosse obbligatorio anche per i singoli servizi, ma si è concentrato solo sui biglietti aerei. Perché non lo ha allargato anche agli alberghi? La risposta potrebbe essere legata al fatto che il turismo viene considerato ancora, “non una circolazione di servizi, ma di persone; è pertanto una concezione un po’ superata. Il discorso è che siamo vincolati a una normativa vecchia di dieci anni, mentre il settore del turismo va ad una velocità supersonica. La direttiva è stata concepita con meccanismi di adeguamento non ancora azionati. C’è coscienza del problema e ormai c’è anche la consapevolezza della necessità di una riforma – dice l’avvocato -, ma non si sta ancora neppure studiando alcuna modifica”.

Le tre soluzioni

Quale può essere quindi la soluzione? Secondo l’avvocato Criscione ci sono tre strade, l’organizzatore o rimborsa cash o emette il voucher oppure vanno previsti fondi pubblici o polizze. “Una polizza per ‘forza maggiore’ (in alternativa ad alcune polizze Covid già operative nel settore turistico) che ristori velocemente il professionista costretto a restituire l’acconto con la possibilità per chi la stipuli di godere di benefici fiscali al fine di evitare che poi la maggiore garanzia produca un aumento del prezzo dei pacchetti a svantaggio del consumatore finale. Lo Stato (e la Ue) in questo modo metterebbe ‘a sistema’ una garanzia ed, in caso di impossibilità sopravvenuta, eviterebbe anche i ristori o il ricorso ai recovery fund”.

Stefania Vicini

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