Il debutto del Green pass tra caos e code in aeroporto
Codici Qr degli esiti negativi dei tamponi che non vengono considerati in accettazione, test anti-Covid richiesti a un gruppo di passeggeri, ma non ad altri su uno stesso volo, moduli di localizzazione (Passenger locator form) compilati via web per un Paese, ma solo su carta per un altro. L’estate in Europa rischia di diventare una corsa a ostacoli e di ore di coda ai banconi dei check-in per i vacanzieri alle prese con diversi requisiti d’ingresso. Le organizzazioni internazionali che rappresentano le compagnie aeree e gli aeroporti, fa sapere Il Corriere, denunciano che tra i 27 Paesi membri dell’Unione europea ci sono almeno dieci modalità di verifica di uno stesso certificato Covid digitale dell’Ue. Cosa che oltre a non aiutare nel decollo della stagione turistica, rischia di imbottigliare centinaia di migliaia di persone negli scali.
E le conseguenze si vedono già: soltanto per il check-in i tempi richiesti sono aumentati del 500%, balzando a qualcosa come 12 minuti a persona. “Ai valori attuali di traffico, ancora lontani da quelli pre-Covid, i passeggeri stanno perdendo in media un’ora e mezza in più in aeroporto, cioè il doppio del solito”, afferma Willie Walsh, numero uno della Iata. Quando i flussi torneranno al 75% dei livelli del 2019, stima l’associazione, il tempo richiesto dall’ingresso al terminal fino all’imbarco può toccare le sei ore soprattutto per i controlli sanitari richiesti ai banconi dell’accettazione o ai controlli di frontiera. Agli stessi volumi del 2019, invece, si raggiungerebbero le otto ore.
Per questo Airlines for Europe, Airports Council International, European regions airline association e International air transport association, rende noto il quotidiano, hanno scritto ai capi di Stato e di governo del Vecchio Continente una lettera di quattro pagine in cui lamentano la mancanza di coordinamento e i diversi approcci. “Con l’aumento del traffico passeggeri nelle prossime settimane il rischio di caos negli aeroporti europei è reale”, avvertono.
Da ieri in teoria basterebbe il codice Qr sul cellulare — rilasciato dopo la doppia vaccinazione o l’esito negativo di un tampone o l’esser guarito dal Covid — per muoversi liberamente all’interno dell’Ue. Ma questa certificazione digitale non è ancora riconosciuta da tutti i Paesi. In alcuni casi non può nemmeno essere verificata alla frontiera o al check-in perché o mancano i dispositivi di lettura — pure in diversi scali italiani come ha potuto constatare il Corriere — oppure perché il test deve essere stampato. C’è poi l’altro problema: la compilazione del “Passenger locator form“. L’Italia è l’unico Paese a prevederlo in formato digitale, gli altri Stati forniscono un foglio di carta da consegnare durante il volo agli assistenti di bordo (come sui collegamenti per la Francia) oppure da mostrare al momento del check-in, cosa che aumenta i tempi richiesti e le code. Per questo le associazioni chiedono la massima digitalizzazione dei processi di verifica e di ridurre al minimo i disagi, esamina il quotidiano.

Intanto le frontiere Usa restano sigillate per gli europei. L’Unione Europea ha riaperto le porte agli americani, purché vaccinati. Ma il governo degli Stati Uniti non si smuove: le frontiere restano chiuse per tutti gli europei e i britannici che non hanno la green card cioè il permesso di soggiorno permanente, oppure, naturalmente anche il passaporto a stelle strisce. Le ambasciate a Washington di Italia, Francia, Germania e Spagna, da settimane, sono inondate di proteste. Moltissime segnalazioni sono arrivate anche al Corriere. Le imprese attive negli Stati Uniti non riescono più a mandare negli Usa i loro dipendenti, dai tecnici ai manager, anche se hanno già in mano un visto regolare, scrive il quotidiano. Stesso discorso per i ricercatori, i professori, gli studenti. Naturalmente i turisti sono, in ogni caso, tassativamente esclusi.

Nello stesso tempo gli europei che in tutti questi mesi sono rimasti a vivere e a lavorare negli Usa, possono certamente viaggiare nei Paesi di origine. Ma non hanno alcuna garanzia che potranno poi rientrare negli States. Migliaia di persone bloccate e di migliaia di imprese danneggiate, sottolinea Il CorriereIl blocco dura ormai da 15 mesi, esattamente dal decreto firmato da Donald Trump il 31 gennaio del 2020, all’inizio della pandemia. Un provvedimento mai revocato dall’Amministrazione di Joe Biden.
Queste norme prevedono che le ambasciate e i consolati statunitensi possano concedere un permesso straordinario, la Nie, National Interest Expection, per chi ha urgente necessità di rientrare in America. Ma i funzionari, spiega il Corriere, hanno avuto istruzioni direttamente dal dipartimento di Stato di vagliare con grande rigore i singoli casi. È un problema ormai politico e diplomatico. Da mesi non c’è riunione in cui gli europei non sollevino la questione con le controparti statunitensi. Negli ultimi giorni lo ha notato anche il Wall Street Journal, segnalando come “la mancanza di reciprocità” stia ostacolando i rapporti economici tra Ue, Regno Unito e Usa.
Ma per quale motivo gli americani non si smuovono, nonostante lo scenario sia completamente diverso rispetto a 18 mesi fa? Il team anti-Covid della Casa Bianca, guidato da Anthony Fauci, starebbe raccomandando prudenza per due motivi, rende noto il quotidiano. Primo: molti europei sono stati vaccinati con AstraZeneca, un siero non approvato dalla Food and Drug Administration, l’autorità federale americana. Secondo: non tutti gli Stati europei per ora sono in grado di garantire una registrazione precisa delle persone vaccinate. Alcuni Paesi, e sicuramente tra questi c’è l’Italia, sono più avanti. Altri meno. E naturalmente gli Usa non possono fare distinzioni tra una realtà europea e l’altra.

 

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