L’Italian why nuovo modo di fare turismo

Il 2020 lo si può considerare l’anno zero, che ha visto un calo degli arrivi internazionali del 73%. Il 2021 ha messo a segno una prima risalita, con circa un +4% di arrivi internazionali. Un primo segnale, ma che purtroppo non basta. Pertanto, al di là della crisi causata dalla pandemia, bisogna raggiungere nuovi modi di vivere il territorio. E’ uno dei temi che sono stati trattati in occasione dell’evento “Attivazioni – Per il turismo che cambia” Azioni di valorizzazione e promozione del settore turistico dei territori e delle produzioni di qualità, che si è svolto nella sede di Unioncamere. Il progetto è frutto della collaborazione istituzionale tra il ministero del Turismo e Unioncamere, che ha permesso di connettere i territori del nostro Paese con i mercati interni ed esteri. Grazie anche ai dati dell’Osservatorio sul Turismo di Isnart, l’evento ha illustrato una rinnovata offerta turistica capace di interpretare i nuovi fenomeni come quello dello slow tourism e della staycation.

I dati Isnart

“Nel 2021 l’Italia ha vissuto un recupero di quote a livello internazionale – osserva Roberto Di Vincenzo, presidente di Isnart -, ma siamo distanti dal 2019, siamo ad un -43”. In particolare a soffrire in modo notevole sono le grandi città d’arte. Il dato interessante è che quelle piccole, tipo Ravenna, Verona, Matera, L’Aquila, Lecce vivono “un fenomeno contrario su cui stiamo riflettendo. La flessione del turismo culturale è stata ingente su Roma, ma regioni con un turismo più articolato come il Veneto sono cresciute, così come Umbria, Abruzzo, Marche, che erano abbastanza al di fuori dei flussi turistici. Le aree interne hanno avuto un incremento del 30% di flussi. L’Abruzzo più nel 2020 e un po’ meno nel 2021, il Molise è più che raddoppiato. Il turismo nelle aree interne si è sviluppato ed è sintomo di cambiamento”, dice Di Vincenzo. Pertanto il presidente Isnart si domanda quali siano i cambiamenti in atto, se siano temporanei o culturali, se siano legati ai nuovi stili di vita che stanno nascendo? “E’ la domanda di fondo che ha attraversato il nostro studio”.

Dal way al why

Cio che è accaduto è che siamo passati dal modo di vivere il turismo secondo una modalità Italian way ad una Italian why, che può diventare una strategia di rilancio di alcune aree. Attorno ai cambiamenti è stata avviata una riflessione che “stiamo cercando di sperimentare per comprendere cosa sta accadendo. Sono nate nuove forme di turismo, lo slow tourism è diventato ormai crescente negli ultimi anni. Però per sviluppare una strategia di sviluppo turistico – dice Di Vincenzo – si deve pensare a cosa vuole il turista. Ci sono i nomadi digitali, nicchie che crescono, soggetti che lavorano, ma che fanno anche vacanza, tutti segnali del cambiamento in atto”. Un punto fondamentale a suo dire è costruire “assieme alle destinazioni il prodotto. Un tema a cui ci dedichiamo con il nostro Osservatorio per capire come costruire modelli replicabili che permettono di sviluppare azioni. Abbiamo fatto sperimentazioni assieme ai territori per dare vita a un prodotto vissuto e costruito assieme e da rendere replicabile in altri contesti”. Le tre sperimentazioni fatte sono sui territori Duino Aurisina, Sardegna nuragica e La Sila grande. Si è lavorato sullo slow tourism con Chieti, Pescara, Taranto e Padova.

La sperimentazione

Territorio di sperimentazione è stata l’enogastronomia che ha visto l’organizzazione di un tour enogastronomico con 30 ristoratori europei (Danimarca, Germania, Spagna e Svezia)  “per far conoscere loro la nuova cucina italiana, che è sempre più legata ai territori. Il turismo funziona se contiene innovazione – dice Di Vincenzo – e il prodotto si costruisce sulla base dei bisogni dei turisti che hanno esigenze contemporanee. Pertanto abbiamo lavorato con i ristoratori per far conoscere la nuova enogastronomia italiana ed abbiamo portato anche alcuni instagrammer per comunicare l’iniziativa”. Un altro punto su cui focalizza l’attenzione sono le reti d’impresa che diventano “strumento strategico”. La metafora a cui fa riferimento è quella della struttura del “villaggio turistico che ha un amministratore delegato e tanti dipendenti, ha una direzione strategica definita, mentre un territorio ha mille-2mila amministratori delegati, ma nessun dipendente. Ci sono gli operatori del territorio che hanno un loro profilo ed obiettivi soggettivi”. In tale situazione il ruolo delle reti d’impresa è quello di diventare “lo strumento per definire collettivamente la strategia“. In questo modo i soggetti che lavorano nel territorio “possono seguire la strategia ed avere unicità nella costruzione del prodotto”. Un elemento messo in evidenza, quindi, è che fino adesso è mancata una progettualità del turismo. E’ mancato il creare dei cammini per valorizzare il territorio.

I tre format replicabili

Il 50% dei turisti italiani appartiene alla generazione Y (classe ’81-’95) e Z (classe dal ’95 in poi), “in pratica sono giovani – dice il presidente di Isnart -. Il 94% è attento ai temi di sostenibilità, se non esiste non c’è turismo giovanile, che si mostra attento anche alla sicurezza e assetato della riscoperta del senso di appartenenza, incuriosito da ciò che ha dato le origini”. Questa la premessa, a cui fa seguito la pratica e cioè l’analisi di tre diversi cammini. Il caso del Cammino di S. Antonio, La Via Verde Costa dei Trabocchi e il Cammino enogastronomico nello ionico-tarantino. L’obiettivo è studiare i cammini, verificarne la migliorabilità e replicarne gli elementi di base. Come spiega Di Vincenzo è stata realizzata “una indagine su 3mila turisti, 300 imprese, 60 tour operator. Abbiamo lavorato con 90 stakeholder del territorio. La costruzione del format è frutto di un lavoro partito da quattro anni con tutte le Camere di Commercio italiane sulla conoscenza delle destinazioni turistiche, un grosso lavoro che oggi inizia a dare risultati”.

Il turismo religioso

Parlando di turismo religioso Di Vincenzo comunica alcuni dati. Intanto che rappresenta il 2,5% del totale dei turismi. Sul fronte estero il 30% sono tedeschi. Sul fronte domestico si parla di 7 italiani su 10. La generazione Y rappresenta il 40%, la Z il 15%. Numeri che attestano come il turismo religioso attragga “significativamente anche i giovani”. Il primo caso di studio è il Cammino di Sant’Antonio, è lungo 430 km, è uno di tanti cammini presenti in Italia a dimostrazione del fatto che il turismo lento sta prendendo piede anche da noi e che molti giovani iniziano a vivere questo tipo di turismo. Ad intervenire sul tema Padre Nicola Zuin, direttore della Casa di Spiritualità presso i Santuari Antoniani di Camposampiero. A lui il compito di entrare nel merito, ricordando che nel 2022 ricorre l’800esimo anniversario della vocazione francescana di S. Antonio (prima era un canonico agostiniano), per l’occasione si sta elaborando il progetto Antonio 2020-2022, che promuove il cammino di S. Antonio. Il Santo, “tornando dal Marocco in direzione della Spagna andò a naufragare a Milazzo, il cammino in Italia parte da qui, da Milazzo e arriva a Padova, a Camposampiero, fino a Gemona”. L’intenzione è quella di promuoverlo “come esperienza spirituale con animazioni di tipo religioso. In epoca pre-Covid nell’ultimo weekend di maggio si faceva il cammino notturno con 500, 800 o anche mille persone, era un evento di massa, ora si punta a promuovere dei pellegrinaggi in piccoli gruppi, più personalizzabili”, dice Padre Zuin.
Una caratteristica del cammino è che coinvolge tante realtà del territorio, come si fa pertanto a metterli tutti assieme? E’ la domanda posta a Michela Valentini, destination manager di Ogd Padova, che mette subito in evidenza come il cammino si collochi “in modo armonioso nel piano strategico della Ogd di Padova (struttura di governance del turismo e del territorio delle aree del Veneto, si occupa del coordinamento dei soggetti e delle risorse) perché non è da solo ed ha tanti compagni di viaggio”. Come sottolinea Valentini nell’area dell’Ogd ci sono “tanti percorsi cicloturistici che si intersecano con i cammini e le vie d’acqua, canali percorribili che offrono una integrazione di diverse possibilità di turismo lento che ne fanno una proposta vincente. Inoltre, è un sistema di mobilità sostenibile”. La destination manager fa presente che Padova ha un master plan affidato a Stefano Boeri, che lavora sui sistemi di mobilità per integrarli tra loro e “farli diventare una vera proposta di mobilità per chi risiede, non solo per i turisti”. Il piano strategico affronta anche il turismo religioso legato a S. Antonio e alla Basilica, “è un percorso sentito, conosciuto, fruito e fruibile, una rarità da coltivare anche in una ottica di ospitalità diversa”. In merito al come si possono aiutare i soggetti, Odg ha “un sito di promo-commercializzazione dinamico con esperienze ed aperto agli operatori”.

Tra cicloturismo e Costa dei Trabocchi

Il secondo caso studiato è legato al cicloturismo. “E’ un fenomeno più maturo rispetto ai cammini – sottolinea Di Vincenzo -, che sono un fenomeno che si sta evolvendo”. Numeri alla mano i cicloturisti spendono “77 euro in media, più del turista medio e scelgono la bicicletta per turismo in modo più importante di prima, +20%. E’ del 30% la crescita del settore dal 2019 al 2020”. Il caso preso ad esempio è quello della Via Verde della Costa dei Trabocchi, un percorso ciclabile in fase di chiusura, che fa parte della ciclovia Adriatica. E’ una pista di 42 km, ma sono stati inseriti altri 300 km di percorsi ciclabili, con 12 percorsi dalla costa alla collina. La Costa dei Trabocchi si è trasformata quindi in una destinazione cicloturistica. Carlo Ricci, direttore del Gal Costa dei Trabocchi, si sofferma su tre aspetti. Il primo è quello della mobilità sostenibile, che “non sempre viene considerata nei progetti di sviluppo turistico, per i territori costieri, invece, riguarda la vita di tutti i giorni dei turisti. Noi ci siamo arrivati aggregando diversi attori tra Camera di commercio, le autolinee, le Fs, il Flag, Legambiente, la regione, la provincia ed abbiamo fatto degli esperimenti concreti”, racconta il direttore.

Il secondo tema riguarda la possibilità di connettere l’elemento di attrazione della Costa dei Trabocchi con tutto il territorio. Per poterlo mettere in atto un elemento importante è stata la rete ciclabile, che penetra in tutto l’entroterra. E’ stata realizzata una infrastruttura “evoluta, con pochi cartelli, molti sticker e combinata tramite Qr code con una piattaforma di navigazione e informazione turistica”. Terzo tema connesso è come si racconta il territorio. La risposta data è stata la “realizzazione di un ecosistema digitale per il turismo, che permette di realizzare siti web che sono in collegamento tra loro per contenuti. Una tecnologia che permette di sprigionare l’energia presente sul territorio”, spiega Ricci. Ad oggi ci sono 12 siti web, il che produce “un’iper narrazione del territorio con un approccio di comunità narrativa”.

Il turismo enogastronomico

Terzo caso studiato è legato al turismo enogastronomico con l’esempio di Taranto e provincia per dare una testimonianza di un tipo di turismo che nasce attorno alla riscoperta delle realtà del territorio. Cioè andare in vacanza per scoprire i prodotti locali. I numeri del turismo enogastronomico fanno capire la portata di questo fenomeno. “La ristorazione ha una caratteristica particolare, cioè chi va in ristorazione sta parlando di un territorio, di un luogo, di un produttore che diventa strumento di comunicazione. Inoltre, le generazioni giovani sono più interessate di altre. Uno dei temi su cui si deve lavorare – a detta del presidente dell’Isnart – è il racconto del legame con il territorio”. Carmen Valente, manager di rete di Salento delle Murge, si sofferma su questa rete di 24 imprese nata a maggio del 2020. Raduna imprese agricole ed agroalimentari che “hanno deciso di collaborare con altre imprese del territorio che offrono servizi turistici”. Sono microimprese a gestione individuale o familiare.

Serve una governance pubblica

“Abbiamo deciso di metterci assieme, mantenendo la nostra indipendenza, per costruire percorsi enogastronomici sul territorio che si chiama Salento delle Murge, nome di una subregione che include la penisola salentina e le Murge”, spiega Valente. L’obiettivo è perseguire una sostenibilità ambientale, economica e sociale. La rete si rivolge ad un turismo che non è di massa o dei grandi numeri, “ma a piccoli gruppi di turisti interessati all’enogastronomia”. Viene proposto un turismo esperienziale che racconta le produzioni locali e permette al turista di poterle vivere in prima persona. Si va dai percorsi ceramici, ai percorsi in bici immersi nella natura per conoscere il territorio, alle visite dei vigneti, alla partecipazione alla raccolta di prodotti tipici locali. L’appello lanciato dalla manager è che, però, “serve una governance pubblica per avere un supporto nella conoscenza delle nostre attività, per dare un’immagine unitaria dei vari operatori del territorio oltre a cercare di rendere le comunità consapevoli di ciò che possiedono”.

Come si portano i turisti sul territorio? A rispondere è Manuela Santoro, consulente turistico, che pone l’accento per esempio sul fatto che il territorio tarantino è ricco di percorsi già definiti e di prodotti tipici legati al territorio, a suo dire quello che manca è “una governance super partes che coordini il tutto – rincara la consulente -. I tour operator ci sono, ci sono i percorsi, l’enogastronomia è sviluppata, abbiamo lavorato per creare dei prodotti di qualità, adesso ci manca un organo che deve coordinare. La Camera di commercio di Taranto sarà il nostro collante tra pubblico e privato – dice -. Inoltre, vogliamo creare una rete per essere sostenuti dal pubblico sul fronte della manutenzione delle strade e sul tema trasporti”.

Stefania Vicini

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