C’è un nuovo modo di raccontare le destinazioni minori, cioè quelle destinazioni che hanno un potenziale di crescita. Una nuova modalità in risposta a quello che Emma Taveri, chief visionary officer di Destination Makers, chiama “un cambio epocale legato al mondo del turismo alla luce della nuova geografia del lavoro, di nuove tendenze, esigenze e prospettive per le destinazioni minori, che si stanno affacciando sul mercato e che, fino adesso, non avevano le stesse potenzialità di territori concorrenti più noti”.
Finisce un’era
La domanda di partenza che in molti si sono posti in questi due anni e su cui hanno riflettuto è se il turismo esiste ancora? Posta così può sembrare un po’ strana o provocatoria come domanda, ma non è questa l’intenzione. Infatti in tutti questi mesi ci siamo imbattuti in pubblicazioni e comunicazioni concentrate a dichiarare che il turismo, “così come tutti lo conosciamo, non sarà più quello a cui siamo stati abituati negli anni passati”. Una consapevolezza a cui sono arrivate anche “le strategie di destinazione che lavorano su nuovi concetti di turismo più vicini al benessere delle comunità locali”, tracciando ipotesi “sul turismo che verrà” che tengono conto delle “tendenze emergenti e delle nuove modalità di viaggio tra turismo slow e cammini”.
Nuovi profili di viaggiatori
Lo scenario attuale fa i conti con i nuovi profili di viaggiatori, a partire dal “viaggiatore post pandemico o fortemente influenzato dalla pandemia come descritto di recente da EY”. Un dato di fatto è che “si riprende a viaggiare e ripartono alcune tipologie di strutture ricettive in particolare con una attenzione sempre più marcata verso la sostenibilità”, sottolinea la manager, ma tra i valori di oggi hanno conquistato il loro posto al sole valori quali “flessibilità, personalizzazione e sicurezza”.
I motivi del viaggio
Perché si viaggerà? Rispetto al passato evolvono “anche le tipologie di viaggio”, fa presente Taveri, citando EY, “si va dal rilassarsi e riposarsi (65%) allo scoprire nuovi luoghi e culture (61%) allo stare insieme a familiari e amici (46%), al divertirsi (35%)”, ma ci sono anche “sport e benessere (12%), workation (6%), mentre è riconfermata la tendenza del turismo outdoor con ad esempio i cammini e il turismo slow”.
Cambia la narrazione
Per poter intercettare questa nuova modalità di viaggio e i nuovi profili di viaggiatori la manager ci pone di fronte al fatto che “deve cambiare anche la narrazione. Si deve quindi tener conto dei nuovi canali”. Taveri cita per esempio Culture trip, descrivendola come “una della community di viaggiatori più importanti al mondo”. Cambia anche “il modo di comunicare i territori”, mostrando più attenzione per le culture locali, nelle guide si trovano informazioni ad esempio sui quartieri cittadini, “cambia la tipologia di prodotto e il modo in cui creare contenuti rispetto al passato”, in particolare dalla foto cartolina si passa ai contenuti generati dagli utenti, che sono “considerati affidabili e generano più conversioni”, oltre ad essere utilizzati anche dalle principali destinazioni turistiche. Taveri cita come esempio il sito di Helsinki che è stato creato utilizzando i contenuti generati dagli utenti. Nascono anche “nuovi esperimenti come la Instagram Travel Agency, adv basata sui contenuti generati dagli utenti, dove si possono acquistare esperienze, o nuove piattaforme che aiutano ad utilizzare i contenuti generati dagli utenti per la promozione”.
Il concept dell’italian why
Il tutto per intercettare le nuove forme di turismo e di turisti, tra nomadi digitali e smartworker. Airbnb dal canto suo ha lanciato una comunicazione un po’ provocatoria in cui il suo ceo ha fatto sapere che lasciava la sua casa per vivere da nomade digitale in giro per il mondo negli alloggi Airbnb. Una modalità che, come spiega Taveri, “è ciò che abbiamo cercato di riprendere nel concept di italian way, cioè da un lato cambiano le esigenze, dall’altro cambia la comunicazione turistica a livello globale, pertanto ci siamo interrogati su come l’Italia potesse interpretare questo cambiamento e creare un concept che potesse comunicare la bellezza dei luoghi italiani e la particolarità delle destinazioni minori, emergenti a partire dal punto di vista dei locali e delle persone che hanno deciso di stabilirsi in quei luoghi, sposando la filosofia di vita dell’italian why e non dell’italian way”.
Il tutto per dare vita ad un concept che possa raccontare “una Italia segreta, dove gli ingredienti sono le vite e i punti di forza di questi territori che hanno fatto parte del progetto. Si parte da obiettivi specifici, quali lo sviluppo di una strategia di comunicazione che tenga conto delle nuove tendenze del turismo, tra nomadi digitali, ricerca di tradizione, cultura, esperienze locali di vita slow, che hanno abbracciato le comunità locali e condiviso con loro un percorso e costruito contenuti attraverso un concept definito italian why che si base sulle tendenze e su ciò che l’Italia vera può offrire a questa tipologia di viaggiatore”.
Il concetto di viaggio residenza
La mossa fatta è stata quella di lavorare “su un concept che potesse trasmettere un nuova proposta di valore del turismo, oltre quello classico, lavorando sul why delle destinazioni minori, su quello che realmente può essere un territorio”. Un lavoro fatto anche sui contenuti, “coinvolgendo le comunità locali, abbiamo lavorato – racconta Taveri – su uno storytelling del territorio che comunicasse non solo il territorio piacevole dal punto di vista turistico, ma anche un territorio dove poter immaginare una permanenza più lunga rispetto a quella ordinaria”. Per farlo è stato scelto un media partner, Will, uno dei canali media molto conosciuti, con oltre 1 mln di follower su Instagram. E’ stato scelto perché “rappresenta una community di persone (oltre 1,3 mln) molto attente alle nuove tendenze”, spiega la manager.
Cosa è stato fatto? In pratica questo canale è stato unito al concetto dell’italian why, “cioè un progetto pilota su destinazioni minori da valorizzare attraverso un canale non usuale per il turismo, ma che potesse enfatizzare al meglio questo concetto di viaggio residenza”.
Il marketing verso i residenti
Un altro passaggio è stato comunicare alle comunità locali la “necessità di valorizzare i territori per abbracciare nuovi target, potenziali nuovi flussi di viaggiatori, in tal caso si parla di marketing verso i residenti, in modo tale che anche i territori siano pronti per accogliere le persone, per realizzare una valorizzazione del prodotto in collaborazione con la comunità locale, per parlare di una comunità che partecipa, di una visitor economy, una economia del turismo che faccia realmente bene ai territori, che non sia solo un turismo mordi e fuggi, ma un flusso di persone che realmente utile al territorio per crescere”.
La novità è che “non si parla più di destination marketing, ma di destination marketing & management, cioè da Dmo si passa a Dmmo, un management dei territori che possa essere utile per far crescere le competenze dei territori stessi con una condivisione tra visitatore, residente e imprenditori di una comunità turistica che fa realmente bene al territorio”.
Si è partiti, dice Taveri, da un “co-design con i territori, cioè si è collaborato con le comunità locali per condividere le esigenze del turismo e per spiegare che oggi si deve pensare il prodotto in modo diverso, dall’altra per favorire il miglioramento dell’offerta”. Il tutto per arrivare a sviluppare, “tutti assieme”, quello che viene chiamato tourism for good, in modo tale che faccia bene realmente alla crescita dei territori e possa essere un’opportunità per le destinazioni minori.
Italian Why è un progetto di Isnart ed è inserito nel più ampio progetto “Azioni di valorizzazione e promozione del settore turistico dei territori e delle produzioni di qualità” del ministero del Turismo e Unioncamere. Per lo stesso sono state coinvolte le comunità locali delle tre destinazioni pilota grazie alla collaborazione delle Camere di Commercio di Cagliari-Oristano, Cosenza e Venezia Giulia.
Stefania Vicini