Il settore del trasporto aereo è in ripresa, ma non è libero da incertezze e timori che pesano sul settore, complici una pluralità di macro-fattori che potrebbero rallentare la forte ripresa della voglia di viaggiare in atto in questo momento. Ad analizzare lo scenario è l’ultimo studio di AlixPartners su Aviation, Aerospace & Defence.
“Un tema trasversale è la resilienza della supply chain di portarsi ai livelli richiesti in termini di produzione. Il tema della guerra determina incertezza nel settore. L’inflazione – esemplifica Paolo Rinaldini, managing director di AlixPartners -, tante aziende hanno tagliato la manodopera e gli ingegneri, poi c’è il tema del cambio euro-dollaro che impatta su tutto, ma anche la carenza di materie prime, di componenti elettronici, di parti metalliche, plastica. Un punto di lunga durata è quello che riguarda la spinta verso una aviazione sostenibile che richiede investimenti per sviluppare risorse tecnologiche nuove, con sfide molto forti. La storia insegna che se i tempi si allungano i costi aumentano. E poi c’è un incremento importante per la spesa nel settore della difesa”. La voce ha superato per la prima volta i 2.100 miliardi di dollari nel 2021.
Il recupero per aree geografiche
Numeri alla mano il traffico aereo globale vede i voli internazionali al 64% del livello pre-crisi, quelli nazionali fanno ancora meglio e sfiorano l’80%. In termini di stime, ci si attende un ritorno ai livelli del 2019 tra l’inizio del 2024 e l’inizio della seconda metà del 2025, rivela lo studio. A Michele Mauri, managing director di AlixPartners, il compito di scattare una fotografia delle diverse aree e relative performance in uno scenario che ha visto la ripresa del traffico aereo accelerare, nel secondo trimestre 2022 è stata molto forte in tutte le maggiori regioni mondiali.
“L’Europa ha avuto un forte recupero. E’ passata da un livello di traffico a inizio 2022 pari al 60% del 2019 fino a oltre l’80% negli ultimi mesi. Il Middle East un forte aumento a gennaio, adesso è già al 90%. Per quanto riguarda la performance dell’Asia ha avuto una ripresa più veloce, poi ha subito un tonfo a luglio 2021, è rimasta a dei livelli bassi per una serie di motivazioni legate a diversi lockdown in Cina e a restrizioni ai viaggi. Poi c’è stato un recupero sul fronte domestico per ricrollare ad aprile 2021. La Cina e tutta l’Asia rallentano il ritorno del traffico aereo a livello mondiale”. Parlando dell’America, il Paese “ha messo a segno un recupero sia sul fronte domestico sia internazionale”. In particolare il Nord America, “ha già toccato il 90% rispetto al 2019 – fa presente il manager -. I viaggi internazionali a livello globale hanno raggiunto il 64% del livello pre-crisi, mentre si sfiora l’80% per i voli domestici (77% a maggio 2022)”.
Le attese? Mauri si sofferma su due voci, l’Rpk e l’Ask. “Quest’ultimo a livello mondiale ha recuperato prima dell’Rpk, il che vuol dire che ci sono molti sedili che viaggiano vuoti – sottolinea il manager -, con un load factor peggiorativo per le aerolinee”. C’è stato anche un “forte recupero dei viaggi domestici o dentro la regione, ma i viaggi intercontinentali che avevano un peso del 40% nel 2019, oggi sono molto depressi. E’ attesa la crescita, ma c’è un forte rischio di abbassamento dei voli e della capacità. Dal canto loro i vettori stanno immaginando lo scenario di quando si assisterà ad una riduzione della domanda”. Quando si tornerà ai livelli del 2019? “Nel 2024 o a metà del 2025 – dice il manager -. Il rischio possibile è il ritorno di alcune varianti, anche se la tendenza è bloccare meno i voli”.
I possibili rischi
Il manager si sofferma anche sui diversi rischi in cui potrebbero incorrere le aerolinee. “Il primo è l’incremento del costo del carburante, c’è stato un raddoppio nell’ultimo periodo sui valori pre-Covid, il che ha comportato un grosso problema per i vettori”. Certo, non è una novità, visto che gli aumenti di carburante li ha già dovuti affrontare il settore, nel 2007 e nel 2008, ricorda il manager, “a fronte di ciò i vettori riuscirono a passare sui clienti intorno al 70% dell’aumento (e un 30% è rientrato nei loro costi), ma oggi c’è una capacità in eccesso”. Un secondo rischio è legato alla inflazione, ai costi del personale, della gestione dei bagagli, ai costi di manutenzione o aeroportuali che pesano sulle aerolinee. “La difficoltà a gestire l’aumento dei voli. Un altro rischio è quello dello slow down della domanda, il fatto che ci possa essere una recessione”. Si prevede, infatti, che la domanda non sarà continua come in passato. La forte spinta attuale potrà subire una flessione dovuta ad una serie di fattori macroeconomici, quali recessione, inflazione, riduzione del reddito. Infine, c’è anche una “forte competizione nella conquista del cliente, il che crea una disruption in molte tratte”.
Il business travel
Una menzione al Bt. La ripresa dei viaggi d’affari continua a essere lenta. Lo studio parla di un livello di solo 36%, rispetto al periodo pre-Covid, registrato nel secondo trimestre 2022. “Oggi è ancora molto ridotto rispetto al 2019 ed è molto importante per i vettori. Senza il bt ci sono maggiori difficoltà a recuperare la marginalità”.
Gli ordini di Airbus e Boeing
Guardando ai produttori di aeromobili, il portafoglio ordini per Airbus e Boeing è di 12.000 aerei, corrisponde a circa 7,5 anni di produzione, se si considera il livello produttivo record del 2018. “Alcuni ordini sono con qualche punto di domanda, altri sono stati spostati avanti nel tempo, quindi non sono tutti sicuri – fa notare il manager -. Per esempio Boeing considera che un 20% potrebbe non essere sicuro”.
A guidare la partita degli ordini sono i narrow-body a corridoio unico, (aerei a corto-medio raggio) con 8 anni e mezzo di ordini, mentre i wide body (aerei a lungo raggio a corridoio doppio) sono con portafoglio ordini di meno di 4,5 anni di produzione, sempre rispetto al 2018, anno in cui ammontava a 1606 il livello di aerei consegnato, mentre nel 2021 sono stati 951. “Airbus ha annunciato un forte aumento del tasso di produzione per raggiungere il record di 75 A320 prodotti per mese entro il 2025, ben più alto del livello massimo pre-Covid di 57”.
Il manager sottolinea che il portafoglio ordini di Airbus sfiora i 7.000 aerei (91% a corridoio singolo e 9% a corridoio doppio), rispetto ai circa 4.200 di Boeing (80% a corridoio singolo e 20% a corridoio doppio). Il che è frutto del vantaggio conquistato da Airbus con l’A321neo, nel mercato del medio raggio. Però, Boeing domina ancora il segmento dei wide-body, grazie al recente aumento della domanda di derivati cargo o militari, mentre Airbus ha lanciato l’A350F per contrastare Boeing nel segmento del cargo aereo. Le “consegne complessive di Airbus sono guidate dalla forte ripresa degli aeromobili a corridoio singolo. Le prospettive di consegna di Boeing dipendono dalla riduzione dello stock di aerei prodotti e non consegnati di 737Max e 787, che alla fine di marzo erano ancora superiori alle 400 unità”. Parlando di previsioni, il mercato dei velivoli a corridoio singolo dovrebbe tornare ai livelli pre-crisi entro il 2023-2024, mentre gli aerei a lungo raggio dovrebbero rimanere al di sotto dei livelli pre-crisi fino al 2026.
Le sfide
Il settore aereo dovrà misurarsi con alcune possibili sfide, che sono legate alla “gestione dell’incremento della produzione, in alcuni casi si deve aggiungere capacità”. Il problema è sempre quello legato alla “riduzione del personale e alla mancanza di figure competenti per gestire la produzione e la mancanza di materiali. Quanto al livello di profitto del settore c’è stato un aumento fino al 2014, una riduzione nel 2015/16, una crescita nel 2017/18 e una forte riduzione nel 2020. Nel 2021 c’è un recupero, ma siamo lontani dai livelli del 2019 anche per il revenue”.
Crescono i bilanci per la difesa
Un aspetto a cui si è accennato all’inizio è l’aumento della spesa sul fronte della difesa. “Gli analisti sono concordi nel pensare che ci sarà un aumento della spesa militare”, complice la guerra in Ucraina, che sta portando ad un aumento dei bilanci per la difesa. Ci sono molti Paesi che intendono allinearsi all’obiettivo della Nato di spese militari pari al 2% del Pil, fa presente Rinaldini. Cosa comporta tutto ciò? La crescita dei budget per la difesa vorrà dire anche aumenti dei costi per i produttori di tutti i segmenti, che dovranno valutare i rischi per gli approvvigionamenti di materiali.
Il quadro si completa con un incremento del 58% delle operazioni di M&A nel 2021, che è stato “un anno molto dinamico per fusioni e acquisizioni nel settore, con un totale di 574 operazioni e con sei operazioni che hanno superato il valore di 5 miliardi di dollari “, afferma Rinaldini.
Stefania Vicini