Il travel sceglie lo swimming e non fa la Cassandra

Affogare o nuotare in un mercato in tempesta? E’ la domanda che ha aperto l’edizione 2022 del BizTravel Forum, che si è svolto ieri a Milano, con il nuovo format concentrato in una sola giornata. A fare gli onori di casa Luca Patanè, presidente del Gruppo Uvet, che si è detto soddisfatto di poter ritornare a testimoniare il futuro del settore. “Ora ripartiamo, in primis ci siamo – ha detto – e stiamo bene.

Le domande da porsi sono tante, dal cosa cambierà al cosa troveranno le imprese? Ciò che è emerso dal convegno di apertura, è il fatto che il travel, tra l’affogare e il nuotare, preferisce nuotare. Un bisogno di ottimismo, il non voler fare la Cassandra del travel, sta di fatto che l’industry analizza i dati economici, lo scenario attuale ed è in grado di dare (anche) buone notizie.

I cinque fattori di crisi

Ci sono cinque fattori di crisi che sono in atto contemporaneamente. Ad analizzarli è Valerio De Molli, managing partner & amministratore delegato, The European House Ambrosetti. Il primo è la pandemia, “che non è risolta, ma è sotto controllo, è governata a livello mondiale abbastanza bene”. Il secondo fattore è la guerra in territorio europeo (Ucraina), il terzo l’inflazione, “che ha un impatto sul settore in modo significativo. Impatto che non è legato solo al periodo della guerra”. La ripresa economica del 2021 ha generato una forte pressione inflattiva, che ha avuto una accelerata nel 2022. Numeri alla mano ad ottobre l’inflazione accelera, con un +11,8%, ai livelli del 1984 (marzo). Questo è avvenuto “nonostante le banche centrali lo avessero definito un fenomeno transitorio risolvibile”, sottolinea De Molli, che però non rinuncia ad un pensiero positivo, in quanto “potremmo essere al picco e mi aspetto che l’inflazione possa fermarsi e iniziare a scendere. Inoltre, un raffreddamento globale della domanda ha prodotto una forte revisione dei prezzi delle materie prime”. Il quarto e il quinto fattore di crisi sono l’incremento dei costi dell’energia e la disruption delle catene di approvvigionamento. Da tutto ciò ne consegue una struttura dei costi più alta.

De Molli nel soffermarsi sull’indice di esposizione al conflitto rivela che l’Italia è “al 31esimo posto tra tutti i Paesi, ovviamente l’impatto più alto lo hanno i Paesi limitrofi all’area del conflitto. Le aree più impattate sono l’Asia Centrale e le Repubbliche Baltiche”. Per il 2023 De Moli si sente di affermare di essere meno pessimista rispetto alle previsioni negative tracciate da diversi istituti. Certamente ci sono molte incognite da valutare, tra cui “come si comporterà il governo, il rapporto Pnrr e la Ue, come andrà il quadro inflattivo, il quadro delle forniture energetiche, il costo dell’energia”. La domanda da porsi è quanto peserà tutto ciò sulle famiglie italiane? I consumi avranno una grave frenata.

Non solo, tra i temi su cui riflettere – e su cui agire – ci sono gli stipendi. “L’Italia è l’unico Paese Ocse dove i salari reali nell’ultimo trentennio si sono ridotti”. Solo per fare alcuni esempi oggi il salario medio italiano è “il 55% di un salario medio Usa, il 64% di uno olandese, il 70% di uno tedesco, l’80% di uno inglese e l’83% di uno francese”.

La formula magica del Pil

De Molli si appella alla formula magica del Pil, ricordando il mantra a lui caro, e cioè che è dato dalla somma di “consumi, spesa pubblica, investimenti, bilancia commerciale”. Peccato però che nel nostro Paese spesa pubblica ed investimenti siano fermi da anni. L’unico fattore che cresce è la bilancia commerciale. C’è anche un numero magico e cioè che “il 60% del Pil sono i consumi, pertanto è grave tenere fermi i salari, il rischio è di avere una inflazione a doppia cifra”.

Le good news

Tra i dati positivi c’è che nella dinamica del Pil nel periodo della pandemia, l’Italia ha fatto meglio di tutti gli altri paesi Ue. Il dato occupazionale che “è ai livelli pre-pandemia, grazie al turismo, con una crescita significativa delle assunzioni nel periodo estivo, il che attesta la forza del Made in Italy. Inoltre, durante la pandemia è esploso l’export. Un altro aspetto positivo è che il nostro Paese sta riacquistando attrattività sui mercati internazionali per quanto riguarda gli investimenti dall’estero”.

In relazione al turismo, il nostro Paese ha visto “una forte ripresa degli scambi turistici a seguito della crisi pandemica”. Numeri alla mano +41,2% nel 2021, dopo il calo del 57,6% durante la pandemia. Gli arrivi totali nel 2021 sono pari al 78,7% del 2019, la quota sale al 90,3% se si considera agosto. Per quanto riguarda l’anno in corso, nel periodo giugno-agosto gli arrivi sono “pari al 90% di quelli dello stesso trimestre del 2019”. Si è tornati ai livelli pre-pandemia, “nonostante il blocco di grandi Paesi come Cina, Russia, Bielorussia, i Balcani”, sottolinea De Molli.
Un dato di fatto che emerge è che: “C’è voglia di italianità – sottolinea – e non c’è un allarme rosso sul piano del sentiment degli imprenditori”. Infatti, le aspettative e la fiducia della business community monitorate dall’Ambrosetti Club Economic indicator sono di nuovo in terreno positivo. Non solo, il 56% degli imprenditori pensa che il proprio fatturato nel 2022 aumenterà di oltre il 10%. C’è anche chi parla di riportare in Italia la parte della propria produzione. E il Pnrr “procede a ritmo giusto, il piano sta andando avanti”. Quindi il messaggio è di “provare a nuotare“.

La sfida del 2023

Stefano Barrese, responsabile della Divisione Banca dei Territori, Intesa SanPaolo, si ritrova molto nell’analisi fatta da Di Molli, “conferma una percezione raccolta. Siamo in un momento complicato e veniamo da uno che lo era altrettanto”. L’anno in corso ci ha portato a doverci confrontare con la guerra o il tema del costo della energia, ma in ogni caso a detta del manager il “2022 può essere veramente un anno positivo non solo per il fatturato – afferma -. Si possono avere delle sorprese interessanti lato marginalità”. Barrese concorda anche sul fatto che si debbano monitorare le famiglie.

Il 2022 se lo aspetta “con trend positivo, partendo dal dato acquisito del Pil che è cresciuto del 3,9% a fine settembre. Potremo avere un rallentamento, ma la fine anno si va a ricollocare al di sopra del 3%. La vera sfida è il 2023, con un settore quale il manifatturiero che darà un contributo, che sarà la vera sorpresa dei prossimi anni, ma anche per l’attrattività che ha il nostro Paese, una componente importante arriva dalla domanda esterna, sono confidente che il 2023 potrà essere un anno positivo, con una crescita intorno allo 0,6%. Non mi associo alla Cassandra”, la sua conclusione.

Intesa e la linea di prestiti 

Alla domanda su cosa faccia Intesa Sanpaolo per il turismo, Barrese si sofferma sui tre ambiti di intervento. Uno è indirizzato ad “alzare la qualità dell’offerta. In Italia c’è una percentuale di alberghi 4, 5 stelle superiore o in linea con la Francia e la Spagna, l’elemento su cui lavorare è questo. Abbiamo messo a disposizione una linea di prestiti per supportare gli investimenti finalizzati al miglioramento dal punto di vista qualitativo”. Il secondo ambito di intervento è a favore dell’ampliamento dell’offerta e poi c’è il tema energetico. A tal proposito Barrese fa presente che hanno stanziato “6,5 mld per investimenti nel settore alberghiero“.
Tra i punti critici della nostra offerta alberghiera – messi in luce dal manager – c’è la mancanza di aggregazione, “bisognerebbe avere un meccanismo che consenta alle strutture di aggregarsi, vediamo un’assenza di catene alberghiere, siamo più orientati alla gestione familiare, invece, mettersi assieme porta vantaggi importanti sul fronte dei costi e sul tema degli approvvigionamenti, inoltre, la dimensione aumenta la capacità di negoziazione con i fornitori”.

I fattori endogeni da monitorare

Ad andare nella direzione dello swimming anche Damiano Sabatino, vice president and managing director Europe di Travelport. Il manager si dichiara in linea con lo studio Ambrosetti per quanto riguarda la “vitalità della ripresa economica del nostro Paese. La ripresa continuerà? Impossibile dirlo – commenta il manager -, l’industria del turismo è una delle più cicliche legata alle variabili economiche, però ci sono degli elementi endogeni che possono ridurla”.

Le variabili citate dal manager sono per esempio “la riduzione della capacità della flotta dei vettori, l’incremento dei prezzi nel settore aereo, ma anche la carenza di personale specializzato, anche se c’è stato un aumento dell’occupazione”. E poi c’è “il gap esperienziale”. Numeri alla mano il 64% delle persone ama viaggiare, ma “solo il 25% trova gradevole l’esperienza della prenotazione”. Ed ancora circa 2/3 delle persone rispondenti è disposta a rinunciare “anche per sei mesi ad altre esperienze (cinema, ristoranti…) pur di poter viaggiare. C’è quindi una forte voglia di viaggiare, ma ci sono elementi da gestire per fare in modo che la curva continui”, ammonisce il manager.

Il rimbalzo

Il rimbalzo a cui si è assistito a un certo punto finirà o siamo di fronte ad un cambiamento strutturale? Luca Patanè, presidente del Gruppo Uvet, si appella ai dati degli arrivi sugli aeroporti “che sono ottimistici, all’interno ci sono tutti i dati anche quelli delle low cost, e all’apertura di nuove linee”. Certo, “l’effetto molla c’è stato”, riconosce il manager, ma c’è stata anche la riapertura di certi mercati, come l’Oriente. Si devono fare i conti, però, con il fatto che “la Cina è ancora chiusa – afferma -, vedremo nel 2023, anche loro hanno bisogno di riaprire”.

A suo dire siamo “sempre primi nel Pil del turismo e meritiamo che ci sia un ministero del Turismo, quello che portiamo in incoming ed outgoing dobbiamo capitalizzarlo”.

Stefania Vicini

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