Airbnb deve riscuotere e versare allo Stato italiano la cedolare secca sugli affitti brevi. È questo – spiega Federalberghi in una nota – il succo della sentenza pronunciata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, a conclusione della vertenza iniziata nel 2017.
Il commento di Bernabò Bocca
Dal canto suo, Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi, nell’esprimere apprezzamento sul pronunciamento della Corte, ricorda che “la federazione è intervenuta nel giudizio al fianco dell’Agenzia delle Entrate per promuovere la trasparenza del mercato, nell’interesse di tutti gli operatori, perché l’evasione fiscale e la concorrenza sleale danneggiano tanto le imprese turistiche tradizionali quanto coloro che gestiscono in modo corretto le nuove forme di accoglienza”.
In merito alla sentenza, Bocca afferma che “segna un punto importante, ma resta del percorso da compiere. I prossimi passi toccano al Consiglio di Stato, che dovrà pronunciarsi recependo la sentenza europea, per consentire poi all’Agenzia delle Entrate di recuperare le imposte non pagate durante sei anni di sfacciata inadempienza, applicando le relative sanzioni. In parallelo – conclude Bocca – chiediamo al Governo e al Parlamento di mettere ordine nella giungla degli appartamenti ad uso turistico, che si nascondono dietro la foglia di fico della locazione, ma in realtà operano a tutti gli effetti come strutture ricettive e quindi devono essere soggetti alle medesime regole di base previste per alberghi, affittacamere e bed and breakfast”.
L’imposta di soggiorno
La nota di Federalberghi fa presente che è “controversa e opaca anche la gestione dell’imposta di soggiorno. Airbnb si arroga il diritto di curarne la raccolta solo per i comuni che accettano di stipulare un accordo, facendosi beffe della legge che obbliga i portali ad effettuare sempre la riscossione. Di recente, l’assessorato al turismo di Roma Capitale ha contestato formalmente le modalità di erogazione del servizio, perché il portale si limita a versare delle somme indistinte, senza fornire la rendicontazione necessaria per accertare la congruità del versamento e per individuare i contribuenti e gli immobili quali il gettito si riferisce”.
La riscossione dell’Iva
In merito al tema della riscossione dell’Iva, l’8 dicembre, la Commissione Europea ha proposto una serie di misure per modernizzare il sistema di riscossione dell’Iva e ridurre la possibilità di frodi. Una delle misure proposte mira ad eliminare la disparità di trattamento tra hotel e locazioni brevi, rendendo le piattaforme responsabili della riscossione dell’Iva dovuta qualora il gestore dell’alloggio non lo faccia (ad esempio perché è una persona fisica o un soggetto passivo che usufruisce di regimi speciali per le piccole imprese).
Alcuni dati su Airbnb
La nota comunica alcuni dati (su elaborazioni Incipit consulting e Centro Studi Federalberghi su dati Inside Airbnb). In particolare, ad agosto gli annunci relativi ad alloggi italiani pubblicati su Airbnb erano 440.305.
L’analisi dei dati, conferma, ancora una volta, le quattro grandi “bugie” della cosiddetta sharing economy – riporta la nota. Non è vero che si condivide l’esperienza con il titolare. Più di tre quarti degli annunci (l’81%) si riferisce all’affitto di interi appartamenti, in cui non abita nessuno. Non è vero che si tratta di forme integrative del reddito. Sono attività economiche a tutti gli effetti. Quasi due terzi degli annunci (il 64,9%) sono pubblicati da persone che amministrano più alloggi, con casi limite di soggetti che ne gestiscono più di 6.000. Non è vero che si tratta di attività occasionali. Più della metà degli annunci (il 57,8%) si riferisce ad alloggi disponibili per oltre sei mesi l’anno. Non è vero che le locazioni brevi tendono a svilupparsi dove c’è carenza di offerta. Gli alloggi sono concentrati soprattutto nelle grandi città e nelle principali località turistiche dove è maggiore la presenza di esercizi ufficiali.
Comuni e regioni
Il comune con più alloggi disponibili su Airbnb è Roma, con 23.899 annunci, seguito da Milano (18.416), Firenze (10.576), Venezia (7.677), Napoli (7.313) e Palermo (5.561). La regione con più alloggi disponibili su Airbnb è la Toscana, con 59.058 annunci, seguita da Sicilia (56.099), Lombardia (44.460) e Puglia (41.573).
La posizione di Federalberghi Torino
Il fenomeno degli affitti turistici brevi continua a crescere nella provincia di Torino con 8.416 annunci pubblicati sul portale Airbnb (erano 7.548 nel 2019), di questi 4.900 riguardano la sola città di Torino. L’indagine è stata realizzata da Federalberghi Nazionale per stimare le dimensioni del fenomeno, chiedere alle istituzioni di vigilare sul fenomeno e prevedere, per i privati che affittano appartamenti a turisti, lo stesso trattamento previsto per le strutture turistico-ricettive regolari.
Secondo l’indagine condotta da Federalberghi del numero complessivo di annunci pubblicati nella provincia di Torino l’81,9% (6.892 appartamenti) riguarda unità abitative intere (non in condivisione con il proprietario), 4.723 annunci (56,1%) riguarda appartamenti a disposizione oltre i sei mesi e 4.111 annunci (48,8%) afferiscono a host che gestiscono più alloggi in una dinamica imprenditoriale.
Nelle Valli Olimpiche si contano 1.342 annunci: guidano la classifica Claviere con 356 annunci, Sestriere con 342 e Bardonecchia con 262 appartamenti in affitto.
Nella giornata in cui la Corte di Giustizia Europea rigetta il ricorso di Airbnb stabilendo, in sostanza, l’obbligo per il portale di riscuotere e versare allo Stato italiano la cedolare secca sugli affitti brevi, il presidente di Federalberghi Torino, Fabio Borio invita gli organi di vigilanza e le istituzioni locali a porre attenzione sul tema nel territorio torinese.
“Questa indagine smaschera di fatto alcune delle bugie che vengono abitualmente raccontate su questo fenomeno – dichiara Borio – la maggior parte degli annunci si riferisce all’affitto di interi appartamenti, non si tratta di attività occasionale, ma spesso condotta stabilmente e in moltissimi casi non si tratta di un mero sostegno al reddito, ma a tutti gli effetti di un’attività economica strutturata. Chiediamo agli organi di vigilanza e alle istituzioni locali di mettere sotto la corretta luce questo fenomeno a partire dal Codice Identificativo Regionale e di prevedere, per chi affitta a fini turistici, le stesse regole che valgono per le nostre imprese al fine di poter competere ad armi pari sullo stesso mercato”.
La posizione di Federalberghi Puglia
A intervenire sul tema anche Federalberghi Puglia che, in una nota, attesta che “il gigante multinazionale dell’affitto breve, ha pubblicato per la città Bari nel 2022 ben 1.886 annunci con un notevole impatto economico sulla città (+60% rispetto al 2018), secondo una rilevazione del Centro Studi di Federalberghi. Per l’economia turistica della città, questi numeri non hanno portato posti di lavoro, registrando, di contro, un consistente mancato gettito Iva, evasione fiscale (Irpef, Tarsu, canone Rai, ecc.), concorrenza sleale e turbativa di mercato.
A fronte di una situazione che registra un’incidenza dell’abusivismo ricettivo di oltre l’80% sull’intera economia turistica cittadina, il Comune di Bari non ha altra risposta che annunciare l’imposizione della tassa di soggiorno, a partire dalla primavera prossima. Una decisione iniqua e poco opportuna che penalizzerà le strutture alberghiere ed extralberghiere legali, provocando degli effetti distorsivi sull’economia turistica della città. Sarà molto difficile, inoltre, recuperare la tassa di soggiorno da chi soggiornerà nel variegato segmento degli affitti brevi come Airbnb ed altri.
Con una proiezione sull’intero territorio della Puglia, nel 2022 Airbnb ha pubblicato 41.573 annunci, con l’immissione sul mercato di più di 170.000 camere che hanno prodotto il fatturato maggioritario (50/60%) dell’intera economia turistica pugliese.
“Le rilevazioni del nostro Centro Studi – dichiara Francesco Caizzi, vice presidente nazionale e leader barese e pugliese della Federalberghi – confermano ancora una volta che Airbnb e compagni non sono le anime candide, autori dei trend turistici alla moda, ma generatori di fatturati miliardari che sfuggono in larga parte all’area della legalità. Oggi è arrivata una sentenza importante dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea che impone al colosso mondiale dell’affitto breve di riscuotere e versare alla Stato italiano la cedolare secca (21%) su ogni prenotazione online. Ritengo che questa pronuncia sia un passo in avanti verso la trasparenza e il contrasto all’evasione fiscale. Non posso, però, non sottolineare che i dati pubblicati siano vergognosi e ci riportino a un’amara realtà, quella di un segmento importante per Bari e la Puglia che subisce la piaga dell’abusivismo ricettivo”.
In particolare a Bari Airbnb ha pubblicato nel 2022 “1.886 annunci con un notevole impatto economico sulla città (+60% rispetto al 2018). In città si registra un’incidenza dell’abusivismo ricettivo di oltre l’80% sull’intera economia turistica. Questi numeri non hanno portato posti di lavoro in più, registrando, di contro, un consistente mancato gettito Iva, evasione fiscale (Irpef, Tarsu, canone Rai, ecc.), concorrenza sleale e turbativa di mercato. Ho provveduto a recapitare la rilevazione completa ai soggetti istituzionali dedicati alla repressione dei fenomeni di abusivismo ricettivo“.
Le bugie dell’house sharing
In merito ai dati di Federalberghi, il presidente degli albergatori baresi e pugliesi, osserva che “mettono a nudo le bugie dell’house sharing che, da fenomeno di costume, si è trasformato in vero e proprio segmento economico alternativo nel turismo della Puglia, provocando concorrenza sleale e distorsione del mercato. Nel 2022 Airbnb ha pubblicato 41.573 annunci, con l’immissione sul mercato di più di 170.000 camere che hanno prodotto il fatturato maggioritario (50/60%) dell’intera economia turistica pugliese. Non è vero che si condivide l’esperienza con il titolare perché la maggior parte degli annunci pubblicati su Airbnb si riferisce all’affitto di interi appartamenti, in cui non abita nessuno. Non è vero che si tratta di attività occasionali: la maggior parte degli annunci si riferisce ad appartamenti disponibili per oltre sei mesi all’anno. Non è vero che si tratta di forme integrative del reddito, ma attività economiche a tutti gli effetti, con moltissimi inserzionisti che gestiscono più di un alloggio. Non è vero che le nuove formule compensano la mancanza di offerta poiché gli alloggi presenti su Airbnb sono concentrati soprattutto nelle grandi città e nelle principali località turistiche, dove è maggiore la presenza di esercizi ufficiali. In Puglia, infatti, sono in maggior numero nelle località di mare e nelle città capoluogo di Provincia”.