Imprese balneari in Italia: valore e modelli di gestione

Le imprese balneari sono soltanto una parte delle aziende che utilizzano il demanio ad uso turistico-ricreativo. Si tratta di 6.592 imprese (marittime, lacuali e fluviali) che impiegano, nei mesi di alta stagione, 60mila addetti (43mila dei quali dipendenti).

Il sistema informativo del demanio ha censito 26.313 concessioni, 15.414 delle quali ad uso turistico-ricreativo. Se numericamente quelle turistico-ricreative sono prevalenti, (58,6% del totale), dal punto di vista della superficie sono assolutamente residuali occupando appena lo 0,50% dell’area demaniale complessiva. A livello regionale nelle prime 3 posizioni troviamo l’Emilia Romagna con 969 imprese balneari (14,7% del settore), la Toscana con 850 (12,9%) e la Liguria con 753 (11,4%), seguono la Campania (645; 9,8%), la Calabria (578; 8,8%) e il Lazio (513; 7,8%).

L’indagine Nomisma

Lo studio ‘Gestione e Valorizzazione del demanio costiero: i modelli gestionali’, realizzato da Nomisma per conto del S.I.B. Sindacato Italiano Balneari e FIPE–Confcommercio, ha messo in luce una serie di cambiamenti strutturali dell’economia balneare sia sotto il profilo della domanda che dell’offerta.

Dall’indagine effettuata si stima un fatturato medio di circa 260.000 euro ad azienda, generato per il 50% dai ‘servizi tradizionali’: spiaggia, parcheggio e noleggio attrezzature. Bar e ristoranti arrivano a contribuire con una quota addizionale intorno al 48% del totale.

Per otto imprenditori su dieci (tra titolari e soci) l’impresa balneare rappresenta la principale fonte di reddito della famiglia.

Ampliamenti e riqualificazione

Rilevanti gli investimenti negli ultimi 2 anni: il 60% ha acquistato attrezzature ed arredi; il 50% strutture amovibili. Migliorati i servizi di spiaggia (93% dei casi), il bar (85%), il ristorante (70%) e l’area destinata ai bambini (50%).

Le imprese balneari del Belpaese sono estremamente dinamiche: almeno 1 su 3 ha introdotto nuovi servizi a partire dal 2000. Se negli anni ’90 sono stati aggiunti quelli relativi all’intrattenimento (37% dei casi) o per attività sportive (30%), all’inizio di questo secolo sono stati inseriti o ampliati quelli per ristorazione (50%), intrattenimento (45%), dotazioni sportive (39%) e noleggio (37%), con in aggiunta spazi legati al wellness e ai servizi commerciali.

Il livello degli investimenti dà conto di un settore che non vive di rendite di posizione ma che, al contrario, continua a migliorare i servizi per aumentare il livello di soddisfazione della clientela e l’attrattività della destinazione.

La ‘questione balneare’ è estremamente delicata – ha affermato Antonio Capacchione, presidente del SIB – ecco perché nell’interesse del Paese, l’intervento normativo sul demanio marittimo – per essere proficuo e non dannoso – presuppone la conoscenza, al momento lacunosa e non corretta, della balneazione attrezzata italiana nelle sue effettive dimensioni e concrete caratteristiche”.

Le concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo costituiscono, quasi esclusivamente, un’occasione di lavoro piuttosto che un investimento di capitali: “E’ opportuno continuare a privilegiare, in questo settore, non l’investimento di finanza, quanto piuttosto quello del lavoro diretto del concessionario – ha concluso Capacchione – sia per evitare un eccessivo carico edilizio sulla costa con anche gravi lesioni ambientali, sia perché la gestione familiare delle aziende balneari si presenta più efficiente e gradita dai clienti ”.

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