Pnrr e territori: aspettativa non corrisposta

Pnrr, un argomento di cui si è parlato tanto, ma la domanda che ci si pone è se abbia sollecitato positivamente i territori o se ci siano delle criticità? L’occasione di riflessione è stata il convegno dal titolo “Pnrr, europrogettazione, comunità locali e sviluppo turistico dei territori: a che punto siamo?”, che ha visto confrontarsi tra loro due esperti di Pnrr e di fondi Rosanna Mazzia, presidente Borghi Autentici e Giancarlo Dell’Orco, founder Progetto Borghi e due rappresentanti di attività slow di territori, Maurizio Rosellini, founder & ceo Final Furlong e Alex Kornfeind, dm Gal Oglio-Po.

La delusione sui territori

Parliamo prima di Pnrr per capire a che punto siamo. Mazzia lo precisa subito, “siamo in una fase attuativa rispetto al Pnrr che fa registrare una grande delusione sui territori, rispetto alle aspettative che si avevano”. Basti pensare al motivo per cui sono arrivati questi fondi, essendo reduci dalla pandemia, dovevano “colmare il divario Nord-Sud, ma io dico anche tra centro e periferie, territorio minori, luoghi lasciati alla marginalità del Paese, pur essendo risorse straordinarie”, sottolinea Mazzia.

E’ stata “un’aspettativa non corrisposta, in quanto i territori non sono stati coinvolti nella fase programmatoria”. Il che rappresenta un grosso limite, in quanto “i territori conoscono i bisogni”, mentre non sempre li conosce “chi ha la disponibilità e il coordinamento delle risorse”. Mazzia sottolinea anche che, non si è tenuto conto che i territori “che avevano più necessità di colmare i divari erano anche i più sforniti di risorse umane e dei progetti di cui avremmo avuto bisogno”.

C’è da considerare, poi, che “i territori non sono tutti uguali, ma non vuol dire che siano meno predisposti o meno capaci, sono sforniti di strumenti adeguati”. A fronte di tutto ciò cosa è successo? Si è creata una difficoltà nel seguire i percorsi e una concorrenza tra i territori, che non ha aiutato a realizzare “progetti di filiera, di sinergia ed avrà una ricaduta sugli sviluppi che continueranno ad essere di divisione e di sviluppo a macchia di leopardo”. In pratica, i territori anziché mettersi in rete hanno sviluppato una competitività tra di loro.

Il catalogo di azioni e intervento

Dal canto suo Giancarlo Dell’Orco, founder Progetto Borghi, condivide quanto espresso da Mazzia. Non ha dubbi sul fatto che le azioni di intervento vadano progettate. Non solo, per rispondere a queste criticità, riscontrate subito, “abbiamo cercato di mettere insieme alcune azioni di intervento, circa 45, per sostenere i piccoli territori e avere qualcuno che potesse dare loro indicazione su come sviluppare questo filone”.

Tra le varie difficoltà c’è stato anche il fatto che i bandi sono arrivati troppo velocemente, non c’è stato un coordinamento ed ad oggi “il cronoprogramma dei bandi è stato spostato. Pertanto rifarlo, rimandarlo al ministero, rifare il conto economico e il colloquio con gli attori, è una complessità che il comune deve gestire. Ci sarà pertanto una forte dispersione – mette in guardia Dell’Orco -. I bandi dovranno partire entro una data e scadranno comunque a giugno 2026. Tutto ciò ha portato ad uno scompenso e molti comuni stanno abbandonando”, attesta il founder di Progetto Borghi.

Da qui l’idea realizzata con Apical. “Abbiamo fatto il catalogo di azioni e intervento (che non riguarda solo il turismo). Abbiamo messo assieme 45 persone, sono gruppi di lavoro che possono aiutare i territori. E’ una scommessa, ma che dimostra che il collettivo può aiutare le piccole destinazioni, con un lavoro che diventa di team, affrontando le diverse competenze”. Il catalogo riguarda il turismo, il lavoro da remoto, l’attivazione sociale, i nuovi trend della domanda “e non si chiuderà con il Pnrr, ma andrà a crescere”. E questo perchè il turismo ha connessioni con più ambiti e questo è un concetto che si sta “comprendendo molto di più ora – sottolinea Dell’Orco -, visto che molte nicchie oggi sono mercati (per esempio il biking o lo smartworking) e necessitano di competenze per costruire il prodotto”.

Partendo da ciò è nata l’idea di rispondere “alle diverse esigenze turistiche, sociali, immobiliari dei nuovi segmenti come quello del lavoratore da remoto, un residente temporaneo che può utilizzare questi territori, che il sabato e la domenica fa digital detox. Si sta vivendo un cambiamento molto forte e il presente e il futuro del turismo non può essere un lavoro della singola impresa, ma necessita di un processo collettivo”.

Il modello dell’agriturismo

Il discorso dei fondi è anche un discorso di tempistiche e di struttura. Chi riesce a velocizzare il processo riesce ad usufruirne, però c’è da considerare che “il fondo non è un finanziamento per un singolo borgo, si deve ragionare come contesto, come più borghi”. Secondo Dell’Orco si deve cercare di realizzare ciò che hanno messo in atto gli agriturismi anni fa, che hanno “evitato lo spopolamento e l’abbandono delle aziende agricole. Noi dobbiamo pensare di fare la stessa cosa, ma ci vorranno tempo e risorse. Anche gli agriturismi hanno avuto risorse economiche, all’epoca c’è stata dispersione, ma si è innescato anche un meccanismo”, che è servito ad ottenere i risultati.

Il messaggio lanciato ai piccoli paesi è chiaro, devono “riuscire a diventare l’agriturismo che 30 anni fa è partito e che oggi ha evitato lo spopolamento delle campagne, così come hanno fatto le masserie pugliesi”.

Il manager si immagina che i giovani potranno sostenere il processo, ma servono competenze, tempo e risorse. A suo dire esistono tanti fondi, non solo il Pnrr, ma per “intercettarli ci vogliono le azioni di intervento, i progetti e le persone”. Una complessità che non è a favore delle realtà meno strutturate.

Attività slow

Dai due esperti di Pnrr e fondi ai due rappresentanti di attività slow di territori che propongono soluzioni di sviluppo territoriale attraverso l’attività fisica. Si tratta del turismo equestre e del cicloturismo, che si sviluppano unendo le destinazioni e i territori. la domanda posta è chiara: come si attiva in modo proficuo la sinergia pubblico-privato? A rispondere è Maurizio Rosellini, founder & ceo Final Furlong, che concorda sul fatto che la pubblica amministrazione abbia “difficoltà a intercettare e garantire un servizio alle imprese per operare nel recupero di tali finanziamenti e nella progettualità”.

Il manager porta l’esperienza di una rete di impresa, che a sua volta può testimoniare che “c’è grande interesse da parte dei privati per le opportunità di sviluppo economico legate al cavallo. C’è anche un interessante rapporto con la pubblica amministrazione”, dice. Tra gli esempi pratici, ciò che stanno realizzando in Toscana, “dove stiamo sviluppando sia delle attività sul territorio sia delle situazioni di incrocio di interesse, dove la pubblica amministrazione vuole seguire direttamente l’interesse dei privati, che vogliono fare squadra e fare una azione bottom up nei confronti della pubblica amministrazione. In tale caso nasce un meccanismo dove si possono generare opportunità interessanti“, commenta.

Rosellini spiega anche che, se dai singoli operatori “nasce una messa a sistema di imprese che portano alla pubblica amministrazione opportunità di sviluppo economico, si hanno degli ascoltatori interessanti a seguire un tale percorso”. Il che vuol dire anche portare “una progettualità di visione su ciò che si deve creare”. A detta di Rosellini, è ciò che manca oggi.

Pertanto i professionisti devono riuscire a fare squadra come si sta facendo nel mondo dell’equiturismo, “portando alla pubblica amministrazione opportunità di sviluppo che poi ricadono sul territorio”. In questo modo si genera un volano, “che poi si allaccia alle opportunità di sviluppo che i finanziamenti europei possono dare”. In tutto ciò, “il concetto della formazione” può fornire risposte interessanti per ovviare alle difficoltà esposte.

La rete d’impresa

Final Furlong è una rete di imprese, cioè privati che si sono costituiti in rete, quindi hanno già fatto un passo in più e forti di ciò si propongono alle istituzioni. A spiegarne il modello è lo stesso Rosellini. “Lo strumento della rete è dinamico, leggero, ma funzionale. Il  gioco di squadra è fondamentale e su questo aspetto dà molte risposte”.

La rete d’impresa all’estero è presente “da circa una decina di anni”. La grande differenza con l’Italia è che vi aderiscono “aziende multinazionali, con capitali forti, mentre da noi si fa fatica a intercettare questo strumento come momento di sviluppo economico. Anche se oggi è un soggetto che inizia ad avere una certa riconoscibilità e attenzione da parte della pubblica amministrazione, ma anche dei privati”.

Il cicloturismo

Passiamo al cicloturismo, crea valore o difficoltà al territorio? “Dipende”, dice Alex Kornfeind, dm Gal Oglio-Po, che fa però anche notare come ogni regione sia solita avere una fotografia con una bicicletta, “già questo è un vantaggio – afferma -. Il cicloturismo può essere un vantaggio se c’è una regione preparata che ha pensato alle strutture”, sottolinea.

A suo dire non si tratta tanto di “preparare il prodotto o il pacchetto o lavorare su club di prodotto attrattivi”, quello che manca sono le strutture, “che sono fondamentali. Se si guarda al cicloturista c’è quello che va in bici sempre, chi arriva e non ha la bici, chi ha tutto, chi non è preparato, non ci sono mappe, punti acqua”. E’ una situazione che il territorio deve affrontare, ma come? “Andando al setaccio sulle peculiarità e su chi portarci. Se c’è una regione o un territorio che hanno una visione, è più semplice”.

Diversamente se arriva il soggetto e non trova ciò di cui ha bisogno, “lascia un cicatrice sui social e lì è sempre più difficile recuperare – fa presente Kornfeind -. Oggi il passaparola dei ciclisti è peggiore di quello dei golfisti, è un volano attrattivo per una serie di attività quando un territorio mette in piedi ciò che può servire ad un cicloturista”. Nella sua esperienza Kornfeind ha trovato “sia soggetti visionari, sia opportunità con investimenti ben precisi, sta molto nella amministrazione pubblica”, commenta.

I borghi oltre i luoghi cartolina

Dal canto suo Mazzia ci tiene a riposizionare il dibattito sotto il profilo “del rapporto tra pubblico e privato. Rispetto al privato l’interfaccia utile è la pubblica amministrazione agile con una visione che sa mettere a terra. Non sempre è possibile e facile”. Vero è che, dove i Comuni si sono costituiti in rete, “dove hanno avuto la capacità di guardarsi intorno, si sono posti nella condizione di ascoltare le comunità e capire che da soli non si va da nessuna parte. Tra i sindaci che fanno parte di reti ci sono una serie di iniziative che vedono lavorare bene il pubblico e il privato”. Ci sono anche degli strumenti che agevolano nella partita della “amministrazione condivisa”. In generale Mazzia non trova “una difficoltà di visione, ma di coniugare e di mettere a terra i progetti”, salvo dove c’è la volontà di farlo.

Dal canto suo la manager rappresenta la parte pubblica, Borghi Autentici è una associazione di piccoli comuni, “un piccolo che in Italia esiste, siamo la gran parte, nei comuni con meno di 5mila abitanti abitano 10 milioni di persone, un bacino importante che dovrebbe essere tenuto in gran conto a livello decisionale”.

Borghi Autentici conta quasi 300 borghi in Italia e la presenza in 16 regioni. A suo dire in questi luoghi non si dovrebbe parlare solo di turismo, “perché possono andare al di là della visione stagionale di un evento, cicloturismo, cavallo, sono attività che nei nostri borghi potrebbero coprire più del solo concetto di turismo come stagionalità ed essere volano per uno sviluppo che riguarda tutto l’anno”.

Ciò che devono fare i borghi è “uscire da una visione di luoghi cartolina, di luoghi romantici, di musei all’aria aperta. Sono luoghi della contemporaneità che hanno bisogno di svilupparsi”, sottolinea Mazzia. Le possibilità di viverli attraverso “il viaggio a cavallo, a piedi, in bici deve diventare uno strumento rispettoso dei luoghi, di sviluppo locale e non solo un evento spot, ma deve avere una ricaduta sulle comunità locali”.

Mazzia svela anche un segreto e cioè che le pubbliche amministrazioni “più piccole sono quelle più recettive”, perché sanno intravedere “uno spazio di sopravvivenza delle loro comunità”.

Stefania Vicini

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